Parise I. L’inizio

Parise I. L’inizio

goffredo-pariseMi sono sempre ripromesso di scrivere non un articolo, ma un libro su Parise. Perché ho sempre avuto l’impressione che Parise fosse il più grande di tutti nella letteratura italiana del secondo Novecento. E perché entrare nei suoi libri mi ha sempre fatto l’effetto di entrare in un nuovo mondo. A patto, poi, di entrare nei suoi libri come si deve entrare in qualsiasi libro per cui valga la pena farlo. Cioè entrare nei libri come si entra in una casa, scegliendo poi di abitarla per giorni, mesi, anni. Allontanandosene e poi tornandovi, per perdersi in essa dopo una giornata storta, o dieci ore di lavoro. Arrivare, per amabile frequentazione, a conoscerne ogni angolo, ogni segreto. Perché la letteratura, come è stato detto, si fa non libro per libro, ma pagina per pagina, a volte riga per riga.

Perché quando incontri un autore-casa, un autore che senti di poter frequentare in questo modo, senti anche che le sue parole ti cambiano poco a poco la vita, il modo di parlare, di comportarti, di vedere le cose. Conoscere in questo modo un autore vuol dire sapere, d’un tratto, di avere avuto un fratello, o un amore (che importa se la persona in questione non esiste più in carne e ossa, ne rimane la consonanza). Decidere di scriverne vuol dire allora mettere in gioco tutto te stesso, perché parlando di lui non puoi non rivelare te stesso.

Io non l’ho mai fatto, subito pensavo per paura. Perché, come scrisse Flaubert, non bisogna toccare gli idoli con le mani, un po’ della loro doratura potrebbe restarti sulle mani. Solo con gli anni ho capito che non potevo avere quel tipo di paura verso Parise, visto che Parise non fu mai un idolo dorato, ma il più umano degli uomini, con tutte le sue paure e le sue sublimi vanità. E allora capii che la paura era in realtà una strana forma di rispetto. Lo stesso che certi pescatori siciliani, che hanno vissuto in mare, sulle barche, per tutta la vita, dimostrano verso il mare, semplicemente rifiutandosi di imparare a nuotare. Rifiutando di tuffarsi in qualcosa di troppo vasto e troppo profondo.

Eppure, arriva un momento in cui restare sulle sponde del mare non basta più.

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