Giorni ampezzani, bosco e montagna

Giorni ampezzani, bosco e montagna

Non so in quali altre parti d’Italia sia ancora possibile camminare per 4-5 ore di fila e incontrare al massimo una decina di persone (famiglie, per lo più straniere, altri vagabondi solitari come me, coppie più o meno giovani munite di zaini e racchette per il Nordic Walking). Persone che spesso cercano quello che stai cercando tu. Glielo leggi negli occhi mentre vi incrociate e vi scambiate l’immancabile, sbrigativo saluto.

Alcuni popoli dell’est e del sud del mondo hanno sempre avuto il deserto alle porte delle città. Padri della Chiesa, mistici di ogni tempo. La nostra versione del deserto, che ci aspetta a qualche ora di macchina, è la montagna. Il posto in cui vai quando vuoi ritrovare il filo di un discorso che proprio non torna, ricomporre una riflessione, fosse anche per tentare il più improbabile dei ritrovamenti, più nel profondo, un pezzo fondamentale della tua vita.

Come il deserto, anche la montagna non è democratica, è autarchica. Ieri, per esempio, dopo essere arrivato ai piedi del Giau, sono stato punito per aver dimostrato un po’ troppo ottimismo: i suoi dieci gradi a mezzogiorno e il suo vento che ti alzava da terra non andavano d’accordo con la mia felpa leggera e con la cerata che avevo nello zaino. Salire a 2000 m praticamente in mutande è stato un errore da principianti e ho, silenziosamente, accusato il colpo. Ciò non mi ha impedito di scattare un paio di foto a quel paesaggio incredibile, a quello spazio larghissimo e pulito. Poi ho bevuto un caffè e sono tornato un po’ più a valle, in cerca di temperature più clementi.