Butta il cuore oltre l’ostacolo, Jim

Butta il cuore oltre l’ostacolo, Jim

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“Là dentro nessuno poteva scappare, né te né gli altri, e sapevi contro chi combattevi, ed era sempre uno solo, e pesava quanto te, e se ti batteva voleva dire che era più bravo, o aveva più esperienza, e in entrambi i casi dalla sconfitta non avevi che da imparare. Sembra assurdo, ma finisce che vai in quel posto dove tutti menano le mani perché ti senti più al sicuro”. 
Pietro Grossi, Pugni.

Prendete letteratura e sport. Metteteli in un libro di racconti. Avrete già raccolto, in una sola opera, materiale per due pregiudizi editoriali mastodontici, forse quelli più di moda nell’editoria contemporanea.

Non dirò nulla su letteratura e vitalismo, ha già detto tutto Hemingway. Non mi dilungherò sul preconcetto secondo cui “un libro di racconti piace meno di un romanzo”. Hanno già detto tutto tanti amici e conoscenti (molti anche del settore editoriale) che preferiscono tenersi sul comodino un libro di racconti, se i racconti sono buoni. E poi anche su quanto possano essere grandi e indimenticabili certi racconti ha già detto tutto Hemingway.

In Non c’è ritorno, l’americano Jim Shepard scrive di tutto ciò che riguarda energia e narrativa, e lo fa con la penna dei grandi scrittori della sua terra, con un andamento secco, classico. In questo libro edito dalla piccola ma ottima 66thand2nd (dalla grafica e dai materiali molto curati) si agita tutto ciò che è movimento, dinamismo, azione, forse coraggio. Ci sono corpi che sudano e faticano, che s’infrangono contro i limiti del mondo, limiti tangibili come una parete rocciosa o invisibili come un’infanzia passata a prendere a calci un pallone in un campo terroso. Muscoli e polmoni, sogni e speranze che sfregano e scintillano contro orologi che ticchettano, numeri scritti su un tabellone. Questo è il più grande gioco del mondo, e tu puoi farne parte se hai abbastanza fiato e incoscienza e saggezza per buttarti nella mischia e iniziare a correre. È la più grande e reale democrazia, quella basata sulla fatica e sul sacrificio di sé. La democrazia della fisicità, l’unica incapace di mentire.

C’è Ida, in cui il protagonista gioca una surreale, onirica partita di football con i membri della sua famiglia (con l’intero Three Rivers Stadium a incitarli o a fischiarli). C’è il racconto che dà il titolo al libro, che non parla di sport ma del disastro di Chernobyl visto dagli occhi di un tecnico sopravvissuto. C’è lo splendido La Polonia ci guarda, in cui si raccontano le gesta epiche, perché non si saprebbe come definirle altrimenti, di un gruppo di alpinisti polacchi che pratica alpinismo invernale (leggi: scalate in condizioni impossibili) e su cui aleggia il fantasma di Jerzy Kukuczka, mito dell’alpinismo estremo realmente esistito. C’è L’Ajax non difende mai, narrazione in prima persona di Velibor Vasovic, che si presenta così: “Ho giocato a calcio per undici anni, prima nel Partizan Belgrado e con la maglia della mia nazionale – e poi nell’Ajax. O forse dovrei dire che per undici anni ho giocato per soldi, perché a calcio ci ho giocato tutta la vita”.

A volte può essere difficile dare una chiave di lettura a un libro di racconti. Anche se le chiavi di lettura, almeno in questo caso, ci sono. Perché c’è quasi sempre il tema della memoria, che fa da contrappeso e insieme sostiene il vitalismo sportivo. Perché praticamente tutti i racconti parlano del gettare il cuore oltre l’ostacolo. Non c’è ritorno è una galleria di personaggi che, spesso proprio grazie alla fede, non in Dio ma nel loro sport, si sono staccati dal quotidiano, giungendo a volte in uno dei tanti inferni disponibili, altre volte in un microscopico pantheon a tema, una sorta di Walhalla dove riposano gli eroi che hanno osato spingersi oltre. In questo senso lo sport diventa ciò che è sempre stato, fin dagli albori della civiltà: ben lontani dalla regola decoubertiana, il gesto sportivo visto quasi come una sublimazione del gioco (o della guerra), un epos dove l’importante è sempre, assolutamente, ad ogni costo, vincere. Soprattutto quando non si gioca ad armi pari, e le probabilità sono tutte contro di noi. Insomma, memoria ed epica.

“Per gente come me, l’alpinismo invernale è come la vita di tutti i giorni, privata degli strati superificiali di buone maniere. Secondo Jacek, una rimpatriata come questa insieme ai vecchi amici è l’unico vero modo per ricaricare lo spirito. Nessuno ti vede con maggiore chiarezza dei tuoi compagni di squadra a ottomila metri. E nonostante questo, rischiano la vita per riportarti a terra sano e salvo”.

Jim Shepard. Non c’è ritorno.
Pag. 248, 16 euro
66thand2nd, 2012
A cura di Tim Small
Revisione di Michele Martino